Attualmente i disturbi alimentari interessano un’ampia fascia di persone e assumono diverse forme: accanto alle forme più conosciute (anoressia, bulimia, binge eating) si stanno diffondendo nuovi disagi che si manifestano attraverso un’attenzione eccessiva all’alimentazione sana ed equilibrata (ortoressia) e una ricerca esasperata del fisico atletico e muscolarmente ipertrofico (vigoressia).
La richiesta di aderire ad un ideale di perfezione e bellezza, così insistentemente proposto dalla società, può incontrarsi con aspetti di fragilità personale, un’immagine distorta o negata del proprio corpo, difficoltà nel delicato processo di maturazione trovando espressione in un rapporto con il cibo difficile o patologico.
Il disturbo alimentare travolge la vita di una persona in tutti i suoi aspetti limitando e influenzando le capacità relazionali, lavorative, scolastiche e sociali dell’individuo che ne è affetto. Per la persona che soffre di una disturbo dell’alimentazione tutto ruota attorno al cibo e alla paura di ingrassare. Cose che prima sembravano banali come andare a cena fuori con gli amici, partecipare ad un compleanno o ad un matrimonio, diventano difficili e motivo di ansia. Spesso i pensieri sul cibo assillano la persona anche quando non è a tavola, ad esempio a scuola o sul lavoro; terminare un compito può diventare molto difficile perché nella testa sembra che ci sia posto solo per i pensieri su cosa si “deve” mangiare, sulla paura di ingrassare o di avere una crisi bulimica.
Solo una piccola percentuale di persone che soffrono di un disturbo dell’alimentazione chiedono aiuto. Nel caso dell’anoressia nervosa questo può avvenire perché la persona inizialmente non sempre si rende conto di avere un problema dato che la perdita di peso può farla sentire meglio, più magra, più bella e sicura di sé. Quando le cose invece cominciano a preoccupare, perché la perdita di peso è eccessiva o comunque comporta un cambiamento importante, molte persone non sanno come affrontare l’argomento. In genere sono i familiari che, preoccupati dalla perdita di peso eccessiva, si rendono conto del problema. Anche per loro però non è facile intervenire, soprattutto quando la figlia o il figlio non hanno ancora nessuna consapevolezza e rispondono con frasi come “non ho nessun problema …sto benissimo!”.
Nel caso della bulimia nervosa, chi ne è affetto si rivolge ad un terapeuta solo dopo molti anni dall’insorgenza del disturbo: inizialmente non si ha una piena consapevolezza di avere una malattia, ma soprattutto un forte senso di vergogna e di colpa frenano la persona nel chiedere aiuto o semplicemente di confidare a qualcuno di avere questo tipo di problemi.
Una caratteristica quasi sempre presente in chi soffre di un disturbo alimentare è l’alterazione dell’immagine corporea che può arrivare ad essere un vero e proprio disturbo. La percezione che la persona ha del proprio aspetto, ovvero il modo in cui nella sua mente si è formata l’idea del suo corpo e delle sue forme, sembrano influenzare la vita più della sua immagine reale. L’anoressica/o non riesce a giudicare il proprio corpo in modo obiettivo: l’immagine riflessa nello specchio è ai suoi occhi quella di una ragazza con i fianchi larghi, con le cosce grosse e con la pancia gonfia. Per le persone che soffrono di bulimia nervosa l’angoscia può essere ancora più forte per il fatto che perdere il controllo sul cibo fa percepire il peso corporeo (che molto spesso è normale) come eccessivo.
L’approccio terapeutico ad orientamento psicoanalitico ha tra i suoi obiettivi un lavoro sulla personalità del paziente e sul dolore che il sintomo esprime. Spesso, infatti, un trattamento che miri solo alla risoluzione diretta del sintomo può risultare poco adatto per questo tipo di disturbi poiché non tiene in considerazione la struttura di personalità sottostante.
Il rischio di un approccio terapeutico circoscritto al sintomo è infatti quello di continuare a non dare un senso a ciò che attende proprio di essere significato per poterlo elaborare all’interno di una relazione.
Crescere comporta accettare una nuova immagine di sé, la separazione dagli antichi oggetti d’amore, il superamento della dipendenza e dell’illusione di onnipotenza propria dell’età infantile. Se il conflitto necessario per portare a termine in modo ottimale la propria maturazione non può essere vissuto, l’accettazione di confini e limiti, sia intrapsichici che interpersonali, può divenire molto difficoltosa.
Il rapporto con il cibo è calato nel rapporto con l’altro, a tal punto che spesso lo rappresenta. Ha a che fare quindi con dinamiche di relazione familiare, sociale, culturale, oltre che con aspetti profondi e antichi legati alle esperienze di relazione primaria.
E’ per questi motivi che il trattamento terapeutico dei disturbi del comportamento alimentare dovrebbe prendere in considerazione la persona nella sua interezza, considerando la manifestazione evidente del disturbo come un sintomo che non può essere risolto senza un lavoro sulla causa che lo ha reso manifesto.
L’approccio psicoanalitico cerca di dare voce a quanto non detto e non pensato, di rendere pensabili contenuti caotici e scissi, di elaborare vissuti legati alla trasmissione trans-generazionale, di sviluppare la capacità di mentalizzare e di simbolizzare per superare e dare significato a esperienze sensoriali e corporee per poter accedere ad un pensiero astratto in grado di tollerare l’attesa e l’assenza. Questi cambiamenti sono possibili solo attraverso una relazione con l’altro che non sia centrata sul disturbo fisico, ma che sappia mantenere saldo il rapporto, troppo spesso scisso, tra mente e corpo, con uno sguardo rispettoso sulla complessità di un problema multideterminato, caratterizzato da numerosi fattori eziologici. Non si tratta di normalizzare il comportamento alimentare disturbato, ma di porre l’accento sul significato che il sintomo alimentare assume come rivelatore degli aspetti più intimi dell’individuo.
L’obiettivo del percorso psicoterapeutico è innanzitutto rendere la persona responsabile della sua scelta malata, comprendere le ragioni profonde del suo disagio e permettergli, gradualmente, di optare per una soluzione meno nociva e più consona alla realizzazione del proprio desiderio.
Se senti di non riuscire più a gestire il problema non esitare a contattare uno psicoterapeuta.