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29 Maggio 2020 News

Molte persone si trovano a fare i conti con la ritrovata libertà degli ultimi giorni: hanno paura di uscire e lasciare quello che per molto tempo é stato l’unico luogo dove sentirci davvero al sicuro ovvero la nostra casa.

Siamo finalmente entrati nella fase 2: dopo un lungo periodo in cui siamo stati costretti a restare in casa per limitare i contagi, il mondo sembra pian piano riprendere vita e si ampliano le possibilità di potersi ritrovare con gli amici, i colleghi e riprendere le attività che svolgevamo quotidianamente.

Mentre per molti é stato faticoso rimanere bloccati tra le mura domestiche, altri al contrario si sono adattati senza troppe difficoltà alle restrizioni imposte dalla quarantena, addirittura sembrano attualmente avere dei problemi nel riadattarsi a questa nuova fase.

Paura e frustrazione sembrano essere le emozioni alla base di questa “chiusura” che viene chiamata sindrome della capanna. La Società italiana di psichiatria ha stimato che circa un milione di italiani risultano affetti da questa sindrome che in passato si riscontrava negli individui costretti a un periodo di lunga degenza dovuto a interventi o gravi patologie.

Nelia situazione attuale la sindrome della capanna sembra aver interessato diverse tipologie di persone, non solo chi é stato contagiato dal coronavirus o ha subito lutti per la pandemia. Le cause possono essere diverse, si tratta per lo più di meccanismi inconsci che provocano una sintomatologia di tipo ansioso. Alcuni segnali possono essere l’insonnia e l’irascibilità persistenti nel tempo, anche diverse settimane dall’avvio della fase 2. Anche l’OMS ha lanciato un allarme a tal riguardo, secondo in direttore generale T. A. Ghebreyesus l’emergenza Covid-19 sta provocando un aumento di segnalazioni di patologie come ansia e depressione, ma anche disturbi del sonno anche in forme gravi. Tra le cause principali c’e’ la paura del mondo fuori percepito come pericoloso, contrapposto alla propria casa che rappresenta l’unica “bolla” sicura. É una paura generata non soltanto dal rischio di contrarre la malattia, ma anche quello di contagiare i propri cari, i genitori anziani, i figli, gli amici, i colleghi, il timore di non ritrovare fuori il mondo di prima che tra mascherine, regole per il distanziamento sociale, ingressi scaglionati é effettivamente molto cambiato anche a livello percettivo.

I soggetti più a rischio sono sicuramente le persone con una scarsa capacità di adattamento ai cambiamenti e gli “ipocondriaci”, eccessivamente preoccupati per il proprio stato di salute che percepiscono ogni sintomo come segnale di infezione da coronavirus. Mentre sin dai primi giorni di lockdown si sono sentiti a loro agio, questi individui e tutti quelli già affetti da disturbi ansiosi e fobici sembrano sentire ora il peso di questa chiusura, la propria casa rappresenta nello stesso tempo il luogo sicuro e la prigione. Anche gli anziani che hanno pagato il prezzo più caro di questa emergenza, non sembrano immuni da questa sindrome: in questo caso il timore del contagio non sembra legata tanto alla paura di morire, piuttosto si tratta della paura di morire da soli, senza poter salutare i propri cari e senza che possa essere celebrato il proprio funerale.

Anche le persone che sembrano non aver mai avuto problemi di ansia o adattamento, si troveranno ad affrontare situazioni inedite dovute a problemi economici o cambi della stile di vita che potrebbero portare o a reagire velocemente per reinvestire le proprie energie per raggiungere nuovi obiettivi, o al contrario a paralizzarsi. Abbandonare la propria capanna sicura, può rappresentare il passaggio dal timore alla certezza concreta delle difficoltà che la nuova realtà sconosciuta presenta.

La paura é un’emozione primaria che risulta fondamentale per la nostra difesa e sopravvivenza, é grazie alla paura e all’attivazione fisica di allerta che essa innesca, se riusciamo a metterci in salvo dai rischi o ad affrontarli (reazione di attacco o fuga). É bene tenere presente che il confine tra l’uso funzionale delle risorse in nostro possesso e un eccesso o assenza di interpretazione dei segnali di allerta é molto sottile. Le risposte di fronte a un pericolo invisibile come un virus possono essere totalmente opposte:

  • incoscienza e sottovalutazione del rischio;
  • panico e terrore che paralizzano e non permettono di affrontare la realtà.

Le reazioni di ciascuno dipenderanno dalla propria resilienza, ovvero la capacità di un individuo di resistere agli “urti” della vita senza crollare, mantenendo e potenziando le proprie risorse sia a livello individuale che sociale.

E’ importante riconoscere e dare valore ai propri sintomi e stati d’animo: il disagio, l’ansia o addirittura il panico possono portare a evitare sempre più situazioni che potrebbero sfuggire al controllo. È importante riuscire a chiedere aiuto ad un professionista come uno psicoterapeuta se necessario: il lockdown non può prolungarsi per sempre, anzi più si rimanda e maggiore sarà la difficoltà a tornare alla vita sociale.

A volte é necessario trovare un luogo in cui elaborare le proprie emozioni, preoccupazioni o vissuti traumatici senza il timore di essere giudicati.


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