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30 Ottobre 2017 News

Per dipendenza patologica si intende l’alterazione di un comportamento che diviene man mano una abitudine patologica, sulla quale il soggetto perde ogni possibilità di controllo. La stessa dipendenza può essere poi fisica o psicologica. Nel primo caso, l’organismo della persona che fa abuso di una sostanza aumenta la sua soglia di tolleranza e necessita di dosi sempre maggiori per poter ottenere lo stesso effetto, manifestando, in caso contrario, chiari sintomi di astinenza, come sudorazione e dolori gastro-intestinali. Nel secondo caso, invece, talvolta associata anche al malessere corporeo, si è sopraffatti dal desiderio di fare uso della sostanza e non se ne riesce a fare a meno.

La sostanza può essere utilizzata come “autocura” in quanto abbassa i livelli di angoscia e coinvolge totalmente l’individuo deformando la quotidianità e danneggiando la progettualità.

La dipendenza si può sviluppare verso le sostanze stupefacenti (tossicodipendenza, alcolismo), verso il cibo (anoressia – bulimia),  verso il sesso (dipendenza sessuale, masturbazione compulsiva), verso il partner (dipendenza affettiva), verso il lavoro (work-addiction), o verso comportamenti come il gioco (gioco d’azzardo patologico), Internet (Internet addiction Disorder), i videogame, ecc.

Il gioco d’azzardo patologico (gambling), una di queste nuove forme di dipendenza maggiormente diffusa, è caratterizzato da un comportamento di gioco d’azzardo persistente e ricorrente che compromette le attività personali, familiari, o lavorative dell’individuo.

  • Tipicamente, l’individuo tende ad essere eccessivamente assorbito dal gioco d’azzardo (es. rivive esperienze passate di gioco d’azzardo, soppesa o programma le successive giocate, pensa ai modi per procurarsi denaro con cui giocare);
  • ha bisogno di giocare quantità crescenti di denaro per raggiungere l’eccitazione desiderata;
  • ha ripetutamente tentato senza successo di controllare, ridurre, o interrompere il gioco d’azzardo;
  • è irrequieto o irritabile quando tenta di ridurre o interrompere il gioco d’azzardo;
  • gioca d’azzardo per sfuggire problemi o per alleviare un umore disforico; ritorna a giocare per recuperare somme di denaro perse;
  • mente ai membri della famiglia, al terapeuta, o ad altri per occultare l’entità del proprio coinvolgimento nel gioco d’azzardo;
  • commette azioni illegali per finanziare il gioco d’azzardo; mette a repentaglio o perde una relazione significativa, il lavoro, oppure opportunità scolastiche o di carriera per il gioco d’azzardo;
  • fa affidamento su altri per reperire il denaro per alleviare una situazione finanziaria disperata causata dal gioco d’azzardo.

La dipendenza affettiva è un altro ottimo esempio per comprendere meglio i meccanismi psicologici alla base delle dipendenze, in quanto non sono coinvolte sostanze di alcun tipo. In questo caso si ha a che fare con coppie disfunzionali in cui uno o entrambi partner presentano segni di dipendenza verso l’altro. L’amore diventa una droga perché causa una sensazione di forte euforia che aumenta il bisogno di aumentare il tempo da trascorrere con l’altro eliminando ogni altro contatto esterno.

L’amore disfunzionale presenta caratteri ossessivi, si struttura una relazione basata sul possesso e si richiedono continue conferme sulla presenza fisica ed emotiva del partner. La dipendenza è scatenata da un bisogno interiore di sicurezza e riconoscimento e questo porta paradossalmente a disconoscere e a fare disconoscere all’altro i propri bisogni e desideri.

Se è vero che una persona può sviluppare una dipendenza specifica e non essere assolutamente dipendente da altre forme, non si può applicare una cura specifica alle singole forme di dipendenza. Il problema non è il tipo di dipendenza ma la personalità che sta alla base delle forme di dipendenza.
Il lavoro dello psicoterapeuta si concentra quindi nell’accogliere, comprendere e trasformare la personalità dell’individuo piuttosto che lavorare sul sintomo specifico.

Il fatto che una persona sviluppi una dipendenza verso il sesso, piuttosto che verso il gioco o le sostanze stupefacenti ci aiuta a comprendere come mai la dipendenza si sia sviluppata verso quella specifica forma e ci dà informazioni fondamentali sui problemi che stanno alla base di quel comportamento.
Se non si comprendono pienamente i motivi per cui una persona ha sviluppato una forma di dipendenza, entrando nella sua storia personale e familiare, lavorativa, nei suoi vissuti, sentimenti, affetti, non è possibile inibire l’impulso verso un determinato comportamento o uso di sostanze.
La psicoterapia, nel modello psicodinamico, lavora quindi su l’intera personalità dell’individuo piuttosto che sul sintomo specifico.


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5 Ottobre 2017 News

Una crisi di coppia può insorgere più di una volta nel corso di una relazione: essa provoca dubbi, sfiducia e un grande senso di insicurezza, soprattutto trasforma la relazione con il partner in una situazione quasi insopportabile.

Le crisi di coppia all’interno di una relazione non devono preoccuparci per forza. Sono comuni, e di solito si verificano quando la coppia si ritrova ad affrontare una fase di transizione e sente di aver bisogno di un cambiamento. La cosa che deve preoccuparci è il modo in cui affrontiamo queste crisi. Dare la colpa al partner, fare finta di niente, credere che tutto finirà o auto-convincerci che ci sia qualcun altro che sta minando la nostra relazione, sono comportamenti sbagliati e che dobbiamo analizzare a fondo. È normale che, con il passare degli anni, la nostra relazione si trovi dinanzi a nuove sfide o progetti che non avremmo mai immaginato. Il punto è: come affrontare tutto ciò?

Le relazioni di coppia sono molto importanti per la maggior parte delle persone. Ci sono però numerose convinzioni e comportamenti che rendono una cosa tanto bella un vero e proprio incubo. Spesso infatti abbiamo un’idea molto rigida di come dev’essere una relazione e di come dovrebbe comportarsi il nostro partner, e persino la nostra idea di amore è fondata su molti stereotipi. Tutto questo influisce negativamente sulla relazione e può causare crisi e malessere.

Spesso inconsapevolmente vorremmo che la fase dell’innamoramento non finisse mai. Quando l’intensità di questa fase diminuisce, infatti, iniziamo a vedere il nostro partner per quello che è davvero, senza filtri. È a quel punto che le aspettative e l’idealizzazione svaniscono e tutto ciò può portare ad una crisi. Dopo aver scoperto che il nostro partner non è la persona che credevamo fosse, e che per molto tempo siamo stati accecati dall’innamoramento, cercheremo di fare in modo che la relazione continui nel miglior modo possibile. E per questo, in alcuni casi, tenteremo di cambiare l’altro, di modellarlo e di farlo assomigliare a quell’ideale e a quelle aspettative che si sono infrante. Tuttavia questo non significa accettare l’altro, ma cercare di farlo assomigliare per forza a noi e alla nostra immagine di partner ideale. Quando ci ostiniamo a comportarci in questo modo, il partner può sentirsi offeso e molto probabilmente si scatenerà una crisi di coppia. Ma pensateci: come vi sentireste se qualcuno cercasse di cambiarvi? Chiedere al proprio partner di cambiare può essere una buona idea solo dopo essersi confrontati e aver cercato di raggiungere un compromesso, senza esigere nulla.

Un altro errore comune è credere che una volta che abbiamo al nostro fianco la persona che amiamo, non dobbiamo più sforzarci per tenerla accanto a noi. L’amore dev’essere coltivato ogni giorno, ma per qualche strana ragione spesso lo diamo per scontato. In questo modo però, dimentichiamo di dimostrare al nostro partner quanto è importante per noi, quanto lo desideriamo e lo amiamo. E questo è fondamentale se vogliamo mantenere una relazione sana, basata sul rispetto e la stima. Dare la colpa al partner di tutto ciò che va male nella relazione indica che non siamo in grado di assumerci le nostre responsabilità

Senza dubbio, però, l’aspetto principale alla base della maggior parte delle crisi di coppia è l’incapacità di comunicare in modo maturo. Non dire subito all’altro che qualcosa ci disturba, ma tenercelo dentro finché non esplodiamo; dubitare dell’altra persona, ma non dire nulla e vivere con una sensazione costante di sfiducia; prendere decisioni che riguardano la coppia senza consultare l’altro: tutto questo farà sì che il legame si spezzi.

Un altro aspetto che può causare una crisi di coppia è l’eccessiva dipendenza. Si tratta di un problema frutto di molte convinzioni errate, per esempio che il partner sia la nostra unica fonte di felicità e che senza di lui non saremmo nulla. Questo porta molte coppie a dipendere totalmente l’uno dall’altro. Non solo per le questioni pratiche, ma anche per raggiungere il benessere emotivo. Dovremmo ricordarci, invece, che in qualsiasi relazione è necessario che ogni membro abbia il proprio spazio in cui poter stare senza il partner. Il tempo di uscire con i propri amici, di portare avanti un’attività che gli piace, di coltivare le proprie passioni… Perché il partner non è il centro del nostro mondo e, se facciamo girare tutto intorno a lui, alla fine ci mancherà l’aria. Questa dipendenza totale dall’altra persona può provocare anche paure, insicurezze e dubbi sulla relazione, che molto probabilmente causeranno una crisi nella coppia.

Ogni tanto può capitare, poi, di fare paragoni tra la nostra relazione e quella di altre coppie. Forse le osserviamo e pensiamo che siano perfette, che facciano tutto insieme, che non si separino mai… Anche questo può influire sulla nostra relazione, perché ci fa desiderare che tutto sia idilliaco. Ma in realtà non sappiamo che cosa succede a quella coppia quando varca la soglia di casa, potrebbe addirittura darsi che litighino tutto il giorno quando non sono in pubblico. Paragonare la nostra relazione alle altre è ingiusto e non ha senso, perché ogni persona è diversa, ognuno ha vissuto esperienze diverse e affrontato problemi diversi. Ogni coppia è un mondo a sé, ed è bene non dimenticarlo mai.

In fondo, le crisi non sono altro che opportunità per cambiare, per trasformare la propria relazione, che sia per andare avanti o per separarsi definitivamente. Ogni crisi è un segnale d’allarme che ci dice che dobbiamo riflettere sulla nostra relazione e prendere una decisione. Per risolvere una crisi di coppia, dunque, il primo passo è essere predisposti a farlo, vale a dire voler affrontare il problema nel miglior modo possibile, sia per noi che per il nostro partner. Questo significa non soltanto riflettere e dialogare insieme, ma farlo anche in modo individuale.

Quando ne parliamo con il partner, poi, è importante mettere da parte le lamentele e le accuse e agire in modo pratico e positivo. Non serve a niente ribadire tutto ciò che è andato male fino a quel momento, piuttosto bisogna pensare al modo in cui può essere risolto o migliorato quel problema, per giungere ad un compromesso. Se non lo facciamo, la nostra relazione continuerà a cadere in nuove crisi. Se non riuscite a risolvere i problemi in questo modo, poi, un’altra opzione potrebbe essere rivolgersi ad uno psicoterapeuta specializzato in relazioni di coppia, che senz’altro potrà aiutarvi.

Una crisi può portare alla rottura della relazione oppure cambiarla e rafforzarla. In entrambi i casi, è un’esperienza che dobbiamo affrontare di petto se vogliamo crescere sia a livello personale che nella nostra relazione.

La crisi è la migliore benedizione che può arrivare a persone e Paesi, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dalle difficoltà nello stesso modo che il giorno nasce dalla notte oscura. E’ dalla crisi che nasce l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera se stesso senza essere superato. Chi attribuisce alla crisi i propri insuccessi e disagi, inibisce il proprio talento e ha più rispetto dei problemi che delle soluzioni. La vera crisi è la crisi dell’incompetenza. La convenienza delle persone e dei Paesi è di trovare soluzioni e vie d’uscita. Senza crisi non ci sono sfide, e senza sfida la vita è una routine, una lenta agonia. Senza crisi non ci sono meriti. E’ dalla crisi che affiora il meglio di ciascuno, poiché senza crisi ogni vento è una carezza. Parlare della crisi significa promuoverla e non nominarla vuol dire esaltare il conformismo. Invece di ciò dobbiamo lavorare duro. Terminiamo definitivamente con l’ unica crisi che ci minaccia, cioè la tragedia di non voler lottare per superarla”.  Albert Einstein 1955 


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8 Settembre 2017 News

Mal di scuola…tutti ne abbiamo sofferto! si tratta di uno stato emotivo che si manifesta attraverso un insieme di comportamenti disfunzionali che non consentono al ragazzo di vivere adeguatamente le attività scolastiche e di apprendere con successo, utilizzando adeguatamente le proprie capacità cognitive, affettive e relazionali.

Per alcuni ragazzi andare a scuola, seguire le lezioni, fare i compiti e studiare, può diventare in alcuni periodi un vero e proprio incubo! Ci sono bambini e adolescenti che rifiutano di andare a scuola o di fare i compiti, lamentano spesso mal di pancia o di testa, hanno difficoltà nella relazione con i compagni, partecipano poco o con scarsa attenzione alle lezioni, si sentono tristi, arrabbiati e incapaci, non compresi e perseguitati dagli insegnanti.

L’apprendimento è un percorso complesso che prevede lo sviluppo di nuove competenze ed il delinearsi di nuovi obiettivi e che porta con sé anche qualcosa di doloroso. La conoscenza, l’esplorazione e lo studio implicano infatti l’accettazione del cambiamento, costringono ad affrontare sentimenti di precarietà e a tollerare di andare incontro al rischio di insuccessi. Apprendere vuol dire anche sperimentare solitudine, frustrazione e in certi momenti anche senso di inadeguatezza. Per di più la scuola rappresenta un vero e proprio luogo di sperimentazione sociale per l’individuo che richiede autonomia, capacità di scelta, capacità di rispettare le regole e di stare in relazione con il gruppo dei pari.

Di fronte a tanta complessità può capitare che bambini e adolescenti lascino emergere le proprie fragilità con diversi comportamenti e sintomi: scarsa partecipazione, disattenzione, comportamenti di rifiuto o disturbo, cattivo rapporto con i compagni, difficoltà di apprendimento, irrequietezza, abuso di realtà virtuale, crisi al momento della scelta della scuola, autolesionismo, bullismo, somatizzazioni, disturbi del sonno, inappetenza. I sintomi del mal di scuola possono essere il segnale di diverse forme di malessere e avere cause legate alla fatica di apprendere, a difficoltà dovute ai momenti di crescita, a stati di disagio affettivo-relazionali.

Gli stati emotivi che accompagnano i bambini e i ragazzi con il mal di scuola possono essere di tre tipi:

  • ci sono situazioni in cui prevale isolamento, apatia e rifiuto scolastico;
  • ci sono casi caratterizzati da frequenti esplosioni di rabbia;
  • altre situazioni caratterizzate da stati d’ansia.

Nei casi in cui prevale l’isolamento e l’apatia, i bambini e i ragazzi fanno fatica a condividere contesti allargati, si ritraggono sempre di più dai contatti con i coetanei, collezionano molte assenze a scuola per mal di pancia, faticano a uscire di casa con il rischio di chiudersi tra le pareti della propria stanza. In casa possono essere mogi e taciturni, ma spesso appaiono scontrosi se non assecondati e rigidi nelle loro posizioni. I genitori in ansia per le sorti scolastiche del figlio, si sentono inadeguati, arrabbiati e soli davanti ad una scuola che sottolinea le mancanze senza riuscire a costruire risposte. Sempre più sfiduciati provano a convincere il figlio ad andare a scuola e affrontare le difficoltà, passando da atteggiamenti di accondiscendenza a esplosioni di rabbia e minacce.

Nelle situazioni in cui prevale la rabbia che esplode di fronte alla frustrazione, al rifiuto ed alle difficoltà, è come se il bambino o l’adolescente in quei momenti non fosse più in grado di ragionare, di pensare. La rabbia viene buttata fuori senza filtri, con urla, parolacce, spintoni e botte. Si tratta di bambini e ragazzi che a scuola collezionano note, sospensioni, bocciature, che vengono visti dall’esterno come cattivi e a volte pericolosi. Il mondo della scuola sembra schierarsi contro, tranne poi incontrare qualche insegnante che “sa come prenderlo” e che stabilisce una relazione importante ed esclusiva. Rabbia, paura, vergogna, negazione e tentativi di giustificazione sono le reazioni emotive dei genitori di fronte ai figli che sembrano aver preso il sopravvento in famiglia.

Nei casi in cui prevalgono gli stati d’ansia, situazioni come verifiche, interrogazioni ma anche momenti di socializzazione come l’intervallo, possono diventare molto angoscianti. Gli stati d’ansia possono sfociare in veri e propri attacchi di panico, momenti terribili in cui ci si sente morire: battito accelerato, sudorazione, affanno e senso di svenimento. La paura di avere un attacco arriva a bloccare la possibilità di affrontare gli ostacoli con il conseguente ritiro. Oltre al sintomo emerge una fragilità legata soprattutto alla difficoltà a tollerare le distanze, le separazioni, i cambiamenti nella vita e nelle relazioni che sono inevitabili con la crescita. Si tratta spesso di bravi ragazzi che chiedono continuamente all’adulto di essere confermati nelle loro qualità, di avere la loro approvazione, soffrono molto all’idea di perdere gli amici. I genitori possono essere spiazzati soprattutto quando il sintomo arriva all’improvviso, la preoccupazione legata alla fragilità del figlio li porta a cercare un modo per aiutarli oscillando tra l’assecondarli e lo spronarli.

Gli stati d’ansia, le esplosioni di rabbia, l’isolamento e l’apatia, insieme ai diversi sintomi del mal di scuola, sono un importante campanello di allarme, sono segnali di uno sviluppo che fatica a procedere.   E’ importante che i genitori non restino soli a decifrare questi segnali e vengano aiutati da esperti a comprendere tempestivamente cosa significano per rimettere in moto il processo evolutivo.

Uno psicoterapeuta dell’età evolutiva può sicuramente trovare le parole e le vie giuste per giungere al cuore del problema e aiutare il bambino o l’adolescente a liberarsi dei suoi fantasmi e di conseguenza guarire dal mal di scuola. Che siano un senso di inadeguatezza, eccessiva timidezza, paura di atti di bullismo o una particolare vulnerabilità psicologica, tutto si può risolvere, basta decidere di affrontare il problema.

 


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31 Luglio 2017 News

La dipendenza affettiva è una condizione in cui la relazione d’amore è vissuta come indispensabile per la propria esistenza.

L’individuo vede l’altro come unica fonte di benessere, e pur di non rischiare di perdere l’oggetto amato è disposto a mettere da parte i propri bisogni e desideri al punto da annullare il proprio Sè. Tutta l’energia vitale viene investita nell’amare o nel ricevere amore e approvazione, così da trascurare l’impegno nelle attività volte alla propria autodeterminazione (studio, lavoro, amicizie, ecc.) ed al raggiungimento di obiettivi.

La domanda cruciale è: che differenza c’è tra dipendenza amore?

Una relazione priva di qualsiasi forma di dipendenza è solo un’utopia, la dipendenza è infatti una condizione implicita dell’esistenza umana. In una relazione sana la maggior parte delle interazioni viaggia su un registro adulto. Ciò non vuol dire che in determinate circostanze un individuo non possa dipendere dall’altro: è naturale che in periodi di stress o sofferenza un partner possa necessitare e richiedere maggiore protezione e rassicurazione dall’altro.

Possiamo definire patologica quella relazione impostata in maniera rigida su un’interazione equivalente a quella genitore-figlio, in cui i ruoli sono fissati in maniera rigida: uno ad esempio rassicura, protegge e scappa; l’altro è insicuro chiede aiuto, insegue, ecc.

Nella prima fase della relazione, l’innamoramento, si ritrovano tutti i “sintomi” della dipendenza affettiva ovvero: idealizzazione, desiderio di stare continuamente con la persona amata, ansia di separazione, ossessione per l’altro, manifestazioni somatiche (tachicardia, rossore, eccitazione, ecc.). Tali dinamiche possono considerarsi naturali nella fase dell’innamoramento, poi con il tempo tendono a ridursi d’intensità fino ad essere gradualmente sostituiti da forme più mature e reciproche di manifestazioni affettive come il rispetto, la stima, il riconoscere l’altro per quello che è.

Si può semplificare affermando che nella dipendenza affettiva questo passaggio dall’idealizzazione al riconoscimento dell’altro, non viene completato, tanto che l’individuo resta in un perenne desiderio di fusione con l’altro.

Esiste inoltre un fattore invisibile ma potente che distingue nettamente le due tipologie di legame:

Nella dipendenza non c’è gioia, la gioia è il sentimento che contraddistingue l’amore, quello che identifica la dipendenza è la paura.

Paura di restare soli, paura di non essere degni d’amore e di considerazione, paura di essere ignorati o abbandonati. Si offre il proprio amore con l’assurda speranza che la fonte dell’ossessione possa proteggere dalle proprie paure, al contrario le paure e le ossessioni si approfondiscono al punto che “offrire amore nella speranza di essere ricambiati” diventa la costante di tutta la propria vita.

Liberarsi dalla dipendendenza affettiva è la chiave per lasciarsi alle spalle in tutta sicurezza partner inaffidabili, l’aiuto di uno psicoterapeuta può essere fondamentale per acquisire gli strumenti per prendere in mano la propria vita e costruire relazioni soddisfacenti soprattutto con se stessi.

La propria salute e il proprio benessere devono essere una priorità su tutto il resto.


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25 Luglio 2017 News

La paura è un’emozione provata in tutto il regno animale: la sua funzione è di preparare l’organismo, nel suo insieme di psiche e soma, ad affrontare un pericolo mettendo in atto comportamenti di risposta all’evento temuto: generalmente l’attacco o la fuga. Maggiore è la minaccia percepita, tanto maggiore sarà l’intensità di questi meccanismi preparatori. Sotto stress, la nostra capacità di proiettarci con la mente e con la memoria nel passato e nel futuro ci rende vulnerabili alla stessa emozione che dovrebbe garantirci la sopravvivenza: la paura.

Nell’attacco di panico si focalizza l’attenzione sui propri stati interni fisiologici in relazione alla paura. Nel corso di un attacco di panico il mondo appare strano: le cose appaiono diverse dal solito, il corpo diventa leggero e pesante allo stesso tempo…è come se la mente cercasse una via di fuga. La testa diventa pesante, il corpo è pervaso da brividi e tremori come se stesse accadendo qualcosa di terribile. Fiato corto, gambe pesanti, battito accelerato che rimbomba nelle orecchie come accade prima di uno svenimento che però non arriva mai. Il panico ti lascia lì spaventato, sudato e pallido; non puoi fare nulla se non aspettare che tutto passi. In fondo non si muore per un attacco di panico nonostante i sintomi possano far pensare ad un attacco cardiaco o ad una crisi respiratoria.

Il pensiero che consegue a questa esperienza è quello di impazzire: un’apprensione che si sviluppa di fronte ad un’emozione così prorompente, arcaica e basilare che nel panico si sviluppa alla massima potenza il più delle volte senza un motivo apparente: la paura profonda e viscerale.

Quando si ha un attacco di panico la paura si impossessa di noi, ma non si tratta di una paura per un oggetto o una situazione al di fuori di noi di fronte alla quale si può fuggire. Si tratta di una paura profonda, viscerale, primitiva dalla quale non si trova una via di uscita. Sono le sensazioni corporee, o stimoli enterocettivi, a far più paura: il proprio battito cardiaco, il proprio respiro, i brividi, in altre parole è l’esperienza del sentire a cambiare. Si tratta di un’esperienza che spinge a riflettere sui significati della vita: sentire, vivere, provare emozioni, morire.

Nella fase iniziale gli attacchi vengono accompagnati da uno stato di paura ed ansia associato a sintomi somatici. Questa condizione può manifestarsi sia con uno stato di allerta e minaccia persistente per la propria integrità fisica e psichica, sia come “paura della paura“: ovvero la paura relativa alla possibilità che possa verificarsi di nuovo un attacco di panico in situazioni in cui potrebbe essere difficile da gestire. Questa paura porta ad evitare tutte quelle situazioni che vengono considerate a rischio, in tal modo si limita la propria libertà. Il proprio funzionamento sociale, lavorativo ed affettivo risulta pertanto compromesso.

Solo con il tempo e con l’aiuto di uno specialista si riesce a comprendere come il panico possa essere una delle vie privilegiate per avere quella apertura mentale per conoscersi e conoscere.

I sintomi di cui ci si vorrebbe liberare, non sono mai il reale problema che risiede altrove, in luoghi più profondi. Imparare a gestire l’ansia, gli attacchi di panico e altri sintomi cercando di metterli a tacere, produce scarsi effetti sulla nostra qualità della vita. La psicoterapia è uno strumento che permette di esplorare nel profondo il luogo in cui risiede l’origine di ogni sintomo, lo psicoterapeuta affianca l’individuo nella ricerca di strade nuove ed originali da percorrere per costruire un reale cambiamento nella propria vita. Solo affrontando la funzione del sintomo rendendola nulla si può realmente modificare ed eliminare.


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8 Giugno 2017 News

Ognuno di noi vanta una grande varietà di emozioni che esprimiamo a diversi livelli di intensità. Ogni emozione ha un diverso impatto o influenza a livello fisiologico sul corpo dovuto al rilascio e all’aumento di diverse sostanze chimiche come la serotonina, l’ossitocina, la dopamina, il cortisolo, ecc. In sostanza ciò che proviamo ha un impatto profondo sul nostro fisico, sia positivo che negativo.

Nel momento in cui le emozioni diventano così intense e incontrollabili da riuscire a travolgere e sopraffare l’individuo, possono provocare lesioni agli organi interni aprendo la strada alla malattia: si parla in questi casi di somatizzazioni o disturbi psicosomatici.

Ci possono essere emozioni molto intense e prolungate come quelle provocate da eventi quali la perdita o la separazione da una figura di riferimento, un licenziamento, un incidente; o altre meno intense ma ripetute nel tempo che comunque danneggiano l’organismo.

Le emozioni che più influenzano il nostro stato di salute sono:

  • la rabbia induce cambiamenti fisiologici così importanti da aumentare esponenzialmente il rischio di infarto o di ictus. Questa emozione influenza inoltre il funzionamento di organi come fegato, stomaco e milza.
  • la solitudine se rappresenta una condizione a lungo termine porta alla depressione e all’aumento del rischio di decesso precoce. Mantenere relazioni affettive e sociali è importantissimo, al contrario la solitudine porta all’aumento di ormoni cosiddetti “dello stress” come il cortisolo che ha influenza sulla quantità e la qualità del sonno, sulla pressione sanguigna e sul sistema immunitario.
  • ansia e stress influenzano negativamente la salute: mal di testa, bruxismo, nausea e tachicardia sono solo i sintomi più comuni. Il ritmo sonno-veglia e l’appetito, vengono completamente alterati nei periodi di forte stress e di conseguenza è più alto il rischio di ammalarsi o di aggravare problemi di salute preesistenti.
  • la tristezza, ovvero un dolore profondo come quello conseguente ad un lutto può addirittura portare alla morte.

Il cervello è l’organo più prezioso e delicato che abbiamo e per questo va difeso, protetto, curato e amato così come facciamo con il resto del nostro corpo.

 


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31 Maggio 2017 News

 

Siamo animali sociali ma preferiamo soffrire da soli. Si preferisce condividere con gli altri le risate, i momenti sereni; la routine quotidiana ci permette di andare avanti mantenendo il controllo proteggendoci dall’ intimità nella quale si nasconde la sofferenza emotiva. Ma può arrivare un momento in cui arriviamo a rifiutare il contatto con gli altri perché ci provoca disagio, un momento nel quale tutto inizia a perdere significato.

Soffrire in silenzio senza fare nulla vietandosi la possibilità di chiedere aiuto non fa altro che intensificare il dolore e farlo durare più a lungo. L’ombra del dolore inizia ad avvolgere ogni cosa e la luce della via di uscita si offusca divenendo impossibile da raggiungere. Costruire un guscio privato che avvolge e nasconde dove soffrire in silenzio, la solitudine permette di non far emergere nulla all’esterno, ci protegge dal giudizio e dalla critica.

Rifiutarsi di chiedere aiuto condividendo ciò che accade dentro di noi con una persona di fiducia o un professionista non fa che accrescere l’idea che la sofferenza debba essere avvolta dal silenzio e affrontata in solitudine per non mostrarci al mondo deboli e vulnerabili.

La depressione post-partum o durante la fase di gestazione è ancora oggi considerata un tabù in quanto spesso le donne vengono giudicate e condannate per questo. Quello che ci si aspetta da una neo-mamma è che sia felice e pronta ad affrontare questo importante cambiamento: questo stereotipo spinge molte donne a viversi questa esperienza in silenzio e in solitudine per evitare le critiche della società.

Gli adolescenti vittime di bullismo spesso scelgono di rifugiarsi all’ interno delle loro camere dove si sentono protetti e sicuri senza chiedere aiuto per ciò che stanno vivendo.

Le ferite emotive non guariscono da sole, al contrario sono materiale su cui lavorare per poter individuale le radici che sono alla base del dolore. E’ fondamentale pertanto rivolgersi ad uno psicoterapeuta che ci aiuti ad affrontare il dolore che ci causa ansia e depressione.

Il processo terapeutico è sicuramente un percorso lento e laborioso ma permette di poter uscire dal guscio di silenzio e solitudine che ci protegge ma nello stesso tempo ci isola, per poterci riappropriare della spontaneità e l’autenticità che ci rendono unici.

“Il dolore psichico è uno strano sentimento, ti abbandona solo se ti sei abbandonato a lui. Se rifiuti di viverlo non ti lascia più” (F. Fornari).


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