La paura di legarsi/slegarsi
Quella di instaurare relazioni sembra una paura tipica dell’uomo contemporaneo, nell’era del consumismo e della tecnologia tutto sembra dover andar veloce, è possibile avere tutto e subito senza che ci sia alla base la vera costruzione di un desiderio interno. Si preferisce sostituire al termine legame o relazione quello di connessione, un termine che da una parte dà l’illusione del non essere soli, ma dall’altra svincola dall’impegno di dover coltivare i legami per far sì che diventino solidi.
Bauman parla a tal proposito di “amore liquido” ovvero diffuso e impossibile da contenere. Nessuna connessione usata per colmare il vuoto lasciato da vecchi legami ormai logori o già spezzati ha tuttavia una garanzia di durata. Si tratta oltretutto di legami fragili, costruiti in modo da poterli sciogliere senza troppe difficoltà non appena lo scenario cambia le prospettive.
Da ciò che osserviamo, emerge l’ambivalenza dell’essere umano che da una parte desidera la sicurezza di una relazione e un aiuto su cui contare nel momento del bisogno, ma dall’altra ha il timore di restare intrappolato in relazioni stabili in quanto aprono lo scenario ad impegni e tensioni che non non vuole o pensa di non poter sopportare. Paradossalmente la scelta di impegnarsi in un rapporto va a minare la libertà di instaurare nuove relazioni, la scelta implica la rinuncia ad altre mille possibilità.
La relazione evoca continuamente la fantasia di un dolce sogno ma anche di un orribile incubo. Di fronte a questa ambivalenza, cioè l’incapacità di scegliere tra attrazione e repulsione, tra speranze e paure, spesso si reagisce con la paralisi, con un’incapacità di agire. Al desiderio di instaurare relazioni si contrappone l’evitamento che i rapporti si saldino…la domanda è se davvero si cercano relazioni durevoli o piuttosto non si desideri realmente che quelle relazioni siano superficiali e leggere in modo da potersene liberare in qualunque momento?
Già il solo concetto di relazione sembra evocare connotazioni negative, un solo termine sembra emanare il piacere dello stare insieme ma allo stesso tempo la paura di cadere in trappola. Forse è questo il motivo per il quale si sente sempre più spesso parlare di “connessioni”, “reti’’. A differenza di relazione che punta l’accento sull’investimento e l’impegno, il termine rete indica un contesto in cui è possibile entrare e uscire con facilità. In una rete le connessioni avvengono su richiesta e possono essere interrotte in qualsiasi momento, a periodi di contatto possono seguire periodi di libera navigazione. Le relazioni virtuali sembrano essere proprio il frutto di questa ambivalenza, a differenza delle relazioni reali, sono facili da instaurare e altrettanto facili da troncare, si può in qualsiasi momento “bloccare’’ ”cancellare” l’altro. La facilità a slegarsi e l’interruzione su richiesta dei rapporti tuttavia non riduce i rischi, semplicemente li redistribuisce insieme alle angosce che li accompagnano. Non ci si dà la possibilità di conoscere l’altro realmente, ma soprattutto di conoscere se stessi attraverso il rapporto con l’altro. Non ci si mette mai in gioco emotivamente, piuttosto si offre un’immagine superficiale che può fungere da maschera di protezione.
In questo scenario la psicoterapia si inserisce con difficoltà dato l’impegno che comporta sia in termini emotivi, temporali ed economici. Si tratta di un modello di cura che si fonda proprio sulla relazione e, come abbiamo visto prima, può evocare scenari di dipendenza se non di trappola. Per questo spesso si rifiuta l’aiuto più opportuno e si scelgono strade più brevi e alternative per evitare di legarsi e mettersi in gioco realmente a livello emotivo. L’unico modo per curare le relazioni è attraverso la relazione soprattutto con se stessi.